È possibile spiegare in modo semplice cosa sono e come funzionano le pompe di calore, ma soprattutto perché il loro uso è così vantaggioso ai fini ambientali?
Per provare a rispondere dobbiamo ricordare che se c’è una branca della fisica che vanta il maggior numero di verifiche sperimentali “a misura d’uomo”, ossia che non richiedono sofisticate strumentazioni di laboratorio, quella è la Termodinamica, forse seconda solo alla gravitazione. La Termodinamica nacque con la rivoluzione industriale, perché sostanzialmente trattava (e tratta ancora) del modo di utilizzare scambi di calore a fini utili per l’umanità. Tutte le macchine che sfruttano i processi di combustione per trasformare la materia o produrre effetti macroscopici, dai telai a vapore del 1800 fino ai mezzi di locomozione, sono prodotti della rivoluzione concettuale derivante dallo studio dei princìpi termodinamici.
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Ebbene, per prima cosa è doveroso sottolineare che queste leggi, mai smentite ad oggi, ci dicono in particolare che nel nostro Universo e in assenza di “forzature e marchingegni artificiali” il calore si trasmette sempre da un corpo o una sorgente a temperatura più alta verso un corpo o sorgente a temperatura minore. Secondo questa idea sembrerebbe allora impossibile, durante l’inverno, prelevare calore dall’aria esterna, ossia la nostra sorgente fredda, per portarla all’interno dei nostri ambienti di vita, che come sappiamo hanno una temperatura attorno ai 20°C. La pompa di calore invece realizza proprio questo scopo, per di più senza infrangere nessun principio della fisica e anzi garantendo che il risultato finale sia del tutto conveniente, ossia che il rapporto benefici/costi sia più vantaggioso per l’ambiente e per il portafoglio rispetto all’uso dei sistemi tradizionali a combustione. Come è dunque possibile tutto questo?
L’idea tanto semplice quanto geniale per realizzare questo pompaggio di calore è ad esempio quella di far circolare una sostanza (un gas/fluido detto “refrigerante”) tra interno ed esterno, in modo che:
- Quando la sostanza si trova all’esterno delle nostre abitazioni questa risulti ad una temperatura più fredda rispetto a quella dell’ambiente, pertanto acquisti calore (conseguentemente evaporando, il tutto all’interno di appositi circuiti scambiatori);
- Quando il gas si trova all’interno dell’abitazione questo risulti ad una temperatura più alta rispetto a quella dei locali, in modo che possa cedere calore,nuovamente condensandosi.
Per realizzare una pompa di calore funzionante si deve quindi avere che la sostanza, in continuo scambio tra dentro e fuori, si trovi in entrambe le situazioni nelle condizioni per operare uno scambio termico: all’esterno perché ancora più fredda della sorgente in cui si trova immersa, all’interno perché (in modo inverso) è molto più calda dell’ambiente che deve climatizzare. Tutto semplice, in apparenza. Ma gratis? Ed è qui che ci fornisce la risposta sempre il secondo principio della termodinamica, che in una delle sue tante formulazioni equivalenti (Rudolf Clausius) ci dice:
“È impossibile produrre una trasformazione termodinamica il cui unico risultato sia quello di trasferire calore da un corpo più freddo a uno più caldo senza l’apporto di lavoro esterno”. Concentriamoci in particolare sull’ultima parte dell’enunciato: questo tipo di pompaggio di calore è possibile purché sia speso un lavoro esterno, in altre parole venga impiegata energia “buona”, che produca effetti macroscopici.
Allora nel nostro dispositivo tra la sorgente fredda e la sorgente calda ci sarà sufficiente inserire un compressore, che attraverso il lavoro di “schiacciamento” del gas ne incrementerà la temperatura (le particelle di gas compresso si comportano come le persone che si agitano in ascensore quando c’è troppa gente!): in questo modo il gas divenuto caldissimo potrà cedere calore all’ambiente tiepido.
Ovviamente questo lavoro di compressione ha un costo, nel significato autentico del termine: all’interno delle pompe di calore domestiche, ad esempio, viene tipicamente realizzato a spese di energia elettrica, che paghiamo nella nostra bolletta. In altre parole: il compressore rappresenta l’unica componente della pompa di calore che ha bisogno di energia “viva” per realizzare la propria funzione e chiudere il ciclo.
Quarto e ultimo passo: cedendo calore ovviamente il gas si raffredderà, condensandosi almeno in parte. Ma ci potremmo domandare se questo raffreddamento sarà sufficiente a garantire che diventi molto più freddo della temperatura della sorgente esterna (ad esempio l’aria). Come agevolare questo processo? Semplicemente facendolo espandere, con un’ulteriore riduzione della sua temperatura (e della sua pressione). Questo passaggio si realizza utilizzando una cosiddetta valvola di espansione o laminazione, che è uno strumento passivo in quanto non richiede apporto di lavoro esterno, trattandosi solamente di una porta “dosatrice” di fluido passante: si può avere un’idea dell’effetto pensando a quando finisce il rifornimento di un’automobile con GPL ed estraendo l’erogatore lo sentiamo freddissimo: il GPL, che si è espanso rapidamente, ha infatti raffreddato tutte le superfici con cui è venuto in contatto.
Figura 1. Schema di funzionamento di un ciclo frigorifero inverso, utilizzato per il riscaldamento domestico
Dunque quattro sono i passaggi fondamentali in un ciclo di riscaldamento a pompa di calore: evaporazione, compressione, condensazione, laminazione.
Per inciso: un normale frigorifero funziona sfruttando lo stesso ciclo, ma in modo contrario (sottrae calore al vano porta-cibi e lo immette in cucina). Dal momento che però nel caso delle pompe di calore durante il periodo invernale l’obiettivo è apportare calore agli ambienti, e non sottrarlo, per questa stagione parleremo di ciclo frigorifero inverso.
Come si valutano le prestazioni di una pompa di calore?
Mostriamo adesso le (semplici) formule che definiscono il rendimento di una pompa di calore, considerando che sia il trasferimento di calore che l’energia spesa si possono misurare in kiloWattora (simbolo: kWh). Se Qin è il calore ceduto agli ambienti da riscaldare (calore utile) e L rappresenta l’energia assorbita e quindi spesa dal compressore (lavoro), il parametro di riferimento per definire l’efficienza del ciclo è il cosiddetto Coefficiente di Prestazione, ossia in inglese il Coefficient Of Performance (COP), definito come il rapporto tra calore beneficiato e lavoro:
Per fare un esempio, un valore del COP pari 4 per una pompa di calore dal motore elettrico significa che per ogni kWh preso dalla rete elettrica (kWhe, ossia elettrico) si riescono ad immettere all’interno dell’abitazione 4 kWh di calore (kWht, ossia termici): insomma, un rapporto di 1 a 4! E questo mostra il vantaggio dal punto di vista ambientale: i 3 kWh che magicamente compaiono in più rappresentano una quota fornita dal ciclo stesso.
Chiaramente il calore utile che si può utilizzare per riscaldare le nostre abitazioni e l’energia prelevata dalla rete dipendono da vari parametri, tra cui le temperature delle sorgenti alle quali la pompa di calore è sottoposta: la temperatura della sorgente interna (che può essere l’aria dei nostri ambienti di vita, o l’acqua di un accumulatore nel caso di circuiti cosiddetti idronici) e la temperatura della sorgente esterna: e questo è un dettaglio non da poco, considerando che in inverno l’aria può presentare un’escursione significativa tra il giorno e la notte (molto più stabili risultano a questo proposito le cosiddette pompe acqua-acqua, da utilizzare ad esempio in geotermia).
Carnot ha dimostrato che per quanto una pompa di calore sia efficiente vi è un limite massimo, anch’esso funzione delle temperature delle due sorgenti: se Tf rappresenta la temperatura della sorgente fredda (in gradi Celsius, simbolo °C), e Tc quella della sorgente calda si ha allora:
A titolo di esempio, se consideriamo la possibilità di produrre acqua calda per uso sanitario a 40°C quando la temperatura esterna è -10°C, si ha un COP limite di circa 6: per ogni kWh elettrico ne produco 6 “termici”, ossia a vantaggio del riscaldamento dell’acqua. Un’enormità, se invece pensiamo agli scaldabagni elettrici tradizionali a resistenza, in cui per ogni kWh elettrico speso ne recuperavo comunque meno di 1!
Un curiosità. Volendo cercare per quale temperatura esterna si realizza in una pompa di calore ideale lo stesso rendimento di uno scaldabagno elettrico a resistenza, ossia un COP diciamo pari a 1, con un paio di passaggi si ottiene il valore di zero assoluto: questo ci dice che a qualsiasi temperatura possibile la pompa di calore ideale sarà comunque più efficiente di uno scaldabagno ideale! Ovviamente però nella realizzazione di un dispositivo “reale” vi saranno alcune perdite di rendimento che porteranno ad una riduzione delle prestazioni rispetto a quelle ideali, ma il vantaggio del processo è comunque mantenuto fino a una certa temperatura limite, oltre la quale la pompa di calore non riesce più ad erogare tutta la potenza richiesta dall’abitazione per il suo riscaldamento; in tal caso si dovrà ricorrere ad una sorgente integrativa in grado di sopperire alla potenza mancante, oppure utilizzare una taglia più grande di pompa. Grazie anche all’evolversi della normativa tecnica di riferimento, è possibile richiedere ai fornitori i COP e le potenze rese in funzione di alcune temperature esterne di riferimento e le temperature della sorgente calda utilizzata. Nel caso ad esempio di una pompa di calore che usi l’aria come sorgente esterna e l’acqua dell’impianto come sorgente calda si mostrano i dati di una tipica macchina di taglia nominale piccola, ricavati dalla certificazione del costruttore.
Figura 2. Esempio di prestazioni dichiarate dal costruttore per un tipico dispositivo attualmente in commercio
Questa tabella viene usata in particolare per “seguire” il comportamento di un generatore per tutto il periodo di riscaldamento, suddividendolo in pacchetti orari ognuno caratterizzato da una data temperatura esterna. Nell’immagine successiva si riporta ad esempio il grafico della variazione di temperatura relativa a Firenze per tutto l’anno solare e considerando per ogni sottoperiodo i valori medi, minimi e massimi (fonte: Software Edilclima EC700). In Italia la normativa tecnica di riferimento per i dati climatici delle località è la UNI 10349.
Figura 3. Fluttuazioni della temperatura esterna per la località Firenze (fonte: Software Edilclima EC700)
Grazie a questi dati, combinati con le esigenze di una certa abitazione, è possibile elaborare un consuntivo stagionale e dedurne una prestazione globale, detta sCOP ( “Seasonal COP”), che fornisce indicazioni utili sia quando si deve elaborare la certificazione energetica di un’unità immobiliare, sia quando si vuole eseguire una diagnosi in un funzione di un profilo personalizzato di utilizzo dell’impianto, ossia in funzione dell’utente.
Ma quanto è il risparmio effettivo utilizzando una pompa di calore?
Possiamo rispondere a questa domanda considerando due tipi di risparmio: quello in bolletta e quello effettivo ambientale. Cominciamo con il primo, che sicuramente risulta più evidente per gli utenti di un impianto, calandoci in un esempio reale e semplificando un po’ i ragionamenti rispetto alle metodologie della normativa tecnica. Supponiamo che per il riscaldamento la nostra piccola casetta richieda un’energia utile (ossia al netto delle perdite di rendimento) pari a 6000 kWh all’anno, ipotizzando massima efficienza degli impianti a valle del generatore. Nell’ipotesi astratta che una caldaia abbia un rendimento pari al 100%, questo significa che nel corso di tutto l’anno questa erogherà esattamente 6000 kWh, quantità che corrisponde all’incirca al consumo di 600 metri cubi di metano (il conto “della serva” prevede infatti 10 kWh per ogni mc). Al netto dei rincari degli ultimi periodi si può considerare un costo di circa 600 euro necessario al solo riscaldamento.
Vediamo allora lo scenario che si ottiene utilizzando una pompa di calore, supponendo che questa abbia un COP stagionale di 4 (plausibile osservando i dati della tabella dei rendimenti già mostrata). Questo significa che il consumo effettivo di kWh elettrici sarà pari a 6000 kWh diviso per 4, ossia 1500 kWhe. Se ipotizziamo un costo di 0.30 €/kWhe si ottiene una bolletta di 450 €, ossia un risparmio del 25% rispetto ai costi di un generatore “tradizionale”. Ovviamente la cifra è sottostimata se iniziamo a considerare che anche le caldaie tradizionali non hanno un rendimento ideale del 100% (meglio quelle a condensazione, che però rendono al loro meglio per temperature dell’acqua di massimo 45°C, ossia nel pieno regime di funzionamento medio-alto delle pompe di calore!). E ovviamente il risparmio è proporzionale alla grandezza dell’abitazione.
Dal punto di vista ambientale, anche se in modo meno evidente, le cose si mettono ancora più in favore dei sistemi a pompa di calore, perché dobbiamo ricordare che anche l’energia elettrica utilizzata per alimentare la pompa ha una quota prodotta da fonti rinnovabili. L’Allegato 1 “Criteri generali e requisiti delle prestazioni energetiche degli edifici” del DM 26 giugno 2015 ci spiega come calcolare questa porzione rinnovabile, presentando in un’unica tabella i fattori di conversione per i vari vettori energetici, dal gas naturale ai rifiuti solidi urbani.
Questa tabella va letta nel senso che per il caso dell’energia elettrica da rete 1kWhe viene prodotto da 1.95 kWh di energia cosiddetta primaria (ossia presente in natura e quindi non derivante dalla trasformazione di nessun’altra forma di energia) e da 0.47 kWh di energia da fonti rinnovabili. Dunque i nostri 1500 kWhe dell’esempio precedente saranno il prodotto del consumo di 1500 kWh x 1.95 = 2925 kWh di energia primaria. Al contrario per il gas metano di una caldaia si ha un fattore di conversione di 1.05 completamente non rinnovabile per cui, ricordando che la nostra casa richiedeva 6000 kWh termici, utilizzando una caldaia si arriva ad un consumo di 6000 kWh x 1.05 = 6300 kWh di energia primaria. Dal punto di vista dei consumi ambientali una pompa di calore permette quindi un risparmio di oltre il 50%! Il tutto, ovviamente, anche a beneficio della targa energetica delle nostre abitazioni.
Tabella 1. Fattori di conversione in energia primaria dei vettori energetici, DM 26 giugno 2015, All. 1 – Tabella 1
Le nostre conclusioni
In questo breve articolo si è voluta offrire solo un’introduzione alla convenienza sia economica che ambientale dell’utilizzo di sistemi di generazione a pompa di calore per il riscaldamento dei nostri ambienti di vita. Non si è volutamente fatto riferimento a forme di incentivazione fiscale (come ad esempio l’attualissimo Superbonus), in quanto si intendeva valorizzare questo sistema per il principio di funzionamento, e non in abbinamento a transitorie per quanto utilissime leve finanziarie. Né si è parlato dell’ovvia problematica della manutenzione dei sistemi a combustione rispetto a questa tecnologia, per la quale sono necessari solo un controllo periodico del compressore e, nel lungo periodo, la ricarica del circuito refrigerante. Riguardo a quest’ultimo, attorno ai primi anni del nuovo millennio è avvenuta l’ennesima svolta positiva: i cosiddetti cloro-fluoro-carburi o CFC (di cui facevano parte ad esempio le sigle R12-R13-R500-R502-R503) sono stati banditi sin dagli anni ‘90 a causa del loro alto effetto ozono-lesivo, e dopo un passaggio intermedio (terminato nel 2014) attualmente sono sostituiti dagli HFC, miscele innocue per la ozonosfera. Il tutto a rendere il futuro di questa tecnologia ancora più roseo, e il nostro consumo più efficiente.
Autore:
Prof. Luca Alfinito, fisico magistrale, si occupa di ambiente ed energia dal 2001. Dal 2005 è abilitato alla professione di ingegnere con laurea N.O.