Progettare la foresta urbana del futuro
di Tommaso Massai
Firenze – All’interno della rassegna delle nostre Interviste per Ecolobby ci fa molto piacere presentarvi un personaggio davvero di primissimo piano. Data la situazione contingente per il COVID-19 la conversazione si svolge su Skype. Il Prof. Francesco Ferrini è Ordinario di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree e Presidente della Scuola di Agraria dal Novembre del 2015, ed è stato Presidente dalla Società Italiana di Arboricoltura (2005-2011). E’ una figura di riferimento nel panorama scientifico italiano ed internazionale e, se mai i numeri hanno parlato da soli, nel suo caso è opportuno menzionare 290 pubblicazioni (articoli scientifici e divulgativi, in riviste nazionali ed internazionali tecniche e scientifiche, libri e atti di convegno), di cui 76 peer-reviewed indicizzati su Scopus e con H-index 23, numeri che parlano da soli. E’ referente di numerosi e ben finanziati progetti nazionali ed europei, gruppi di ricerca, nonché membro di boards di Associazioni nazionali ed internazionali fra cui ci piace menzionare l’ISA (International Society of Arboriculture) da cui ha appena ottenuto l’ISA Award of Distinction, il massimo riconoscimento a livello mondiale nel campo.
Chiamata Skype …
Tommaso Massai – Salve Professore, grazie per il suo tempo in un momento difficile.
Francesco Ferrini – Ciao! Eh sì non è un momento facile, fra la didattica da remoto ed il coordinamento delle attività della Scuola e del DAGRI con tutti i colleghi. Praticamente passo le giornate su Skype, GoogleMeet e a scrivere mail. Però mi fa piacere offrire un contributo alla vostra associazione!
TM – Comincerei da una domanda che riguarda il nostro Comune. La base normativa sul tema discende direttamente dalla L.10 del 14/1/2013, emanata dal Ministero dell’Ambiente: alcuni concetti chiave sono l’istituzione della giornata dell’albero o il principio “1 albero per ogni neonato”. Ne discendono a livello comunale strumenti quali il Piano del Verde o quello del Paesaggio, il cui iter dovrebbe essere non solo integrato con gli altri strumenti della pianificazione urbana, come ad esempio il Piano Operativo, ma partecipato da cittadinanza, Quartieri, stakeholder etc.. . Siete coinvolti anche voi in quanto esperti del settore nel ramo Accademico?
FF – Abbiamo da poco fatto un piccolo accordo, in collaborazione anche col DIDA (Dipartimento di Architettura), per quanto riguarda la stesura del Piano del Verde per dare un po’ le line guida per quella che sarà la Firenze del futuro. E’ un accordo di modesta entità a onor del vero, ma mi auguro fortemente sia il primo passo per far qualcosa di tangibile col Comune di Firenze.
Il Comune deve avere le idee chiare, deve proporre certe scelte ma le deve anche discutere ed esser pronto a modificarle qualora venissero fuori esigenze diverse da parte dei cittadini da quelle che si pensava che fossero.
TM – Fra gli obiettivi a bilancio che riguardano i nostri temi c’è quello dei 15.000 alberi in 5 anni, di cui il Comune di Firenze ne ha fatto una bandiera, dopo i poco più di 13.000 del quinquennio 2014-2019. Ritiene che questi strumenti normativi e l’entità del budget messo dal Comune siano adeguati ai fabbisogni cittadini in termini di difesa del suolo, qualità dell’aria e di tutti i parametri ambientali su cui la messa a dimora delle nuove alberature insiste?
FF – Diciamo che come numero ci siamo abbastanza ma, contrariamente a quello che si pensa, non è così banale trovare spazi in cui piantare alberi in città. I numeri sono congrui e calcolati sulla base di rimpiazzi di alberi vecchi caduti ma molti sono nuovi impianti. Le zone interesseranno primariamente aree marginali come Osmannoro o Argingrosso dove sorgeranno piccole foreste urbane. Il budget è già stato messo a bilancio, anche se bisognerà vedere se o come le cifre verranno riviste a valle degli interventi dovuti al coronavirus, che ahimè riguarderà i budget di tutti, siano pubblici o privati.
TM – Ci siamo conosciuti nel suo ufficio meraviglioso che domina il Parco delle Cascine in occasione di un incontro con altri due miei colleghi del DICeA sul progetto FloreRisk, che coinvolge direttamente un ricercatore del mio Laboratorio sul tema “analisi multi-rischio del tessuto urbano fiorentino”. Mi rendo conto che forse l’argomento può risultare ostico ma confido nelle sue eccellenti qualità di comunicatore nel porle una questione riguardo agli effetti degli eventi estremi di vento sulle alberature in ambiente urbano, eventi estremi che ormai è acclarato aumentino in conseguenza al climate change (CC). Quanto conta la progettazione delle aree verdi nell’ottica dell’aumento della resilienza del ‘sistema urbano’ a suo parere?
FF – Come per tutti i potenziali benefici che gli alberi possono determinare anche per questo aspetto è essenziale una buona progettazione a monte, e di conseguenza una gestione adeguata. Gli alberi effettivamente possono comportare una variazione di velocità e di direzione del vento incidente: una cattiva progettazione potrebbe portare per esempio ad effetti negativi derivanti dalla presenza di chiome che risultino essere una barriera impenetrabile rispetto al vento incidente, creando dei turbini al di là della cortina di piante; oppure un effetto nullo si potrebbe ottenere con alberature disposte parallelamente alla direzione del vento.
All’opposto invece, laddove la scelta di specie più adatte e la loro disposizione sia fatta con criterio, si possono avere risultati notevolissimi, sia, ad esempio, nel ‘portare’ il vento al di sopra della quota a cui sono presenti potenziali target, edifici o altri alberi che presentino vulnerabilità, inspessendo quello che in gergo si chiama urban canopy, sia nel deviare il vento nella maniera desiderata.
L’importante è che la chioma risulti ‘trasparente’ e che consenta il passaggio del vento, smorzandone l’intensità, per evitare problemi di sradicamento o di amplificazione dell’effetto su altri elementi dell’ambiente urbano.
Ma in genere gli alberi hanno un effetto positivo sul vento, anche nel crearlo, nel senso di favorire, grazie alla traspirazione e all’abbassamento della temperatura all’ombra, la formazione di brezze, che tutti sappiamo esser positive in termini di comfort e riduzione di inquinamento tramite rimescolamento e ricambio dell’aria.
Viceversa può accadere, e voi Ingegneri del Vento me lo insegnate, che se noi mettiamo alberi con chioma eccessivamente densa mal posizionati, questo può addirittura determinare un accumulo di inquinanti per la riduzione dei movimenti d’aria che si hanno in una strada dove c’è il classico effetto urban canyon. E questo soprattutto in presenza di alberi sempre verdi come ad esempio i lecci, che hanno anche un fogliame che parte dal basso e favorisce la concentrazione dei livelli di inquinanti alle altezze in cui respiriamo. Questa considerazione attira sempre molte critiche tutte le volte che la menziono, ma è di tutta evidenza e chiunque se ne può facilmente render conto.
TM – Una domanda più specifica che ci aiuta a capire meglio qualcosa che spesso viene fuori nelle nostre discussioni: ci può chiarire pro e contro della messa a dimora di nuove alberature in termini di parametri ecosistemici cittadini? A questo proposito ho avuto modo di visitare un sito su ogni possibile bilancio (economico, benefici sui parametri ambientali etc..) riguardante la popolazione arborea della città di NY che mi è sembrato perfetto per far capire alla cittadinanza quanti e quali benefici gli alberi ci portino in città.
FF – New York, ma l’America in generale, è molto avanti su questi temi. Loro utilizzano un software che si chiama i-Tree ed è un programma dello USDA (US Department of Agricolture) che da noi non funziona benissimo poiché basato sulle specie americane ma che è stato la base da noi per lo sviluppo di altri sistemi di valutazione.
Primo punto: le compensazioni non si fanno mai al giorno dopo, ma a 10, 20 o 30 anni, come prevede anche l’IPCC (Internatiojnal Panel of Climate Change), quindi se sostituisco un grande albero in piena salute devo rimpiazzare con tanti alberi piccoli che comunque dovranno crescere. Quello che non è chiaro, l’ho ripetuto molte volte, è la differenza fra albero adulto ed albero senescente, ed un parallelo con l’essere umano può aiutare. Non si sostituisce l’albero adulto che ancora può dare molto, come ritengo non ci sia motivo ancora di sostituire me, che ho 57 anni fra pochi giorni, e penso di essere ancora produttivo. Chi sarà chiamato a sostituirmi dovrà aver tempo di formarsi e crescere per raggiungere il mio livello di produttività; come a me sono stati necessari circa 30 anni di esperienza per esser più o meno allo stesso livello di produttività del Professore con cui mi son laureato.
L’albero senescente, invece non ci dà più quei benefici che ci aspettiamo, diciamo è ben oltre la pensione.
E non ha alcun senso, come sento fare continuamente, comparare il volume della chioma: un albero con una chioma enorme può avere 10 foglie ed esser ‘vivo’ ma in decrescita, come succede anche negli anziani sempre per continuare il parallelo, e presentare capacità fotosintetiche pressoché nulle ed anzi produzione di CO2.
Meravigliose querce regrediscono verso il tronco emettendo succhioni, si ritirano e lasciano morire le parti più esterne poiché non ce la fanno più a mantenerle, termine poco scientifico ma chiaro. Mentre un albero di un decimo di volume ma che ha mille foglie e che è in piena efficienza vegetativa fotosintetizza molto di più, stocca molta più CO2 etc.. .
Non parlo ovviamente di alberi monumentali, che non si devono assolutamente abbattere in ragione di un beneficio estetico, culturale e storico che va mantenuto. Un esempio ne sia la querce di Villa la Petraia, ridotta al solo tronco, che non apporta benefici ambientali ma è una pianta di oltre 400 anni dipinta in una Lunetta di Giusto Utens nel 1599 che assolutamente va mantenuta una volta seccata come testimonianza della storia della Villa.
TM – Progettazione della foresta urbana significa programmazione delle specie da impiantare, e quindi della programmazione vivaistica. Come considera la soluzione offerta dai contratti di coltivazione?
FF – Non c’è dubbio che la risposta migliore siano i contratti di coltivazione, che sono il futuro a cui dobbiamo guardare. A New York il progetto One Million Trees è stato realizzato tramite questa tipologia di contratti. Hanno cosa e dove piantare, e chi avrebbe dovuto garantire la fornitura.
Alla fine avevano alberi già grandi, messi a dimora per tempo perché questo strumento è un mutuo vantaggio, per il vivaista che sa che la sua produzione verrà collocata e per la municipalità stessa, perché sa che avrà nei tempi richiesti le piante che ha richiesto. Non solo, i contratti garantiscono entrate ed esborsi diluiti rispettivamente per vivaisti e Comune.
Il Comune deve sapere cosa e dove vuole piantare ma anche chi lo fornisce, perché magari al momento della richiesta il materiale è stato venduto tutto altrove. E’ chiaro che non ci si rivolge al singolo vivaista ma all’Associazione Vivaistica.
TM – Le linee guida delle Nazioni Unite in materia di sostenibilità si sono declinate nei 17 Sustainable Development Goals (SDG) della cosiddetta Agenda 2030. L’11° e 13° riguardano appunto città sostenibili e integrazione delle strategia in ottica CC. Ci può spiegare se e quanto un documento di questo tipo abbia delle ricadute tangibili nelle iniziative che possono velocizzare la transizione ecologica o se siano solo una serie di bellissimi propositi?
FF – Devo dire che noi siamo molto indietro su questo. Mi spiego meglio. Io ho preparato il mio slot di lezioni basandomi sull’Agenda 2030, prendendo fra i 17 goals i punti del programma che riguardano l’urban forestry e declinando a livello progettuale cosa si dovrebbe fare per ognuno in relazione alla climate action (SDG 13), industry innovatin and infrastructure (SDG 9), good health and well-being (SDG 3) etc.. . E’ un po’ un libro dei sogni allo stato attuale in Italia.
Anche per quanto riguarda la gestione ottimizzata delle acque meteoriche, clean water and sanitation (SDG 6) siamo drammaticamente indietro: guardiamo a cosa è stato fatto da anni a Washington, riprogettata con rain gardens e bios ways per raccogliere le acque piovane, riutilizzarle ed evitare allagamenti ma soprattutto che defluiscano subito in canali di prima raccolta evitando di inquinare fiumi, laghi o addirittura il mare.
I parcheggi della Cornell University, con cui collaboro spesso, sono tutti bio-parcheggi con pavimentazione porosa, dove si raccolgono le acque dei forti temporali estivi newyorchesi, che vengono fitodepurate in aree di bio-ritensione prima di arrivare in falda. Da qui si riutilizza in momenti più siccitosi o semplicemente può ricaricare la falda per usi civili e domestici. Da questo punto di vista l’America è sicuramente l’esempio da seguire in questo campo.
TM – Visto che fra le ricadute possibili i progetti di ricerca finanziati sono di primaria importanza, vorrei partire da quelli più attinenti alla nostra conversazione, in cui lei è stato coinvolto in prima persona: LIFE Urban-Green, SMART-URBAN e TreeCity. Non mi addentro nei dettagli perché ognuno necessiterebbe di un convegno per la comprensione di tutti gli aspetti, ma ce n’è uno che tutti hanno in comune, e cioè l’estrema tecnologizzazione ed ottimizzazione spinta delle strategie di progettazione, gestione e monitoraggio delle aree di indagine e di quelle di controllo. Crede che la salvezza per il futuro, per un pianeta che sta soffrendo l’antropizzazione, risieda nella tecnologia applicata ai sistemi ambientali? O sono comunque le scelte politiche, e quindi economiche ed industriali a costruire comunque la discriminante principale?
FF – Secondo me sì. Con la tecnologia ci si riempie la bocca, ma è inutile avere strumenti molto raffinati se poi non si sa mettere a dimora un albero, o se, come succede anche quest’anno a Firenze, si sbagliano le potature. Si fa un tentativo di potatura ‘a testa di salice’ e poi alla fine, visto che non le sanno eseguire, capitozzano quasi tutti gli alberi con pochissime eccezioni.
Ma il futuro è lì, nell’ottimizzazione delle tecnologie che sviluppiamo e applichiamo: parlando con un Ingegnere magari dico qualcosa di scontato ma nei paesi stranieri Agraria è in Ingegneria Agraria, cioè sono ingegneri Agronomi o Forestali che si laureano. Io stesso collaboro con Ingegneri Civili, Architetti, Chimici, Farmacologi ma con praticamente nessun agronomo. Come posso pensare di parlare di infrastrutture verdi limitando il discorso all’albero e agli arbusti? Come faccio a non parlare con Ingegneri Civili di diverso background, ad esempio idraulici quando parlo di gestione delle acque, o del vento come nel suo caso. A ognuno il suo ed è bene interfacciarsi.
Ma le nuove tecnologie servono moltissimo. Oggi le immagini da satellite ci aiutano a capire la diffusione delle malattie, delle situazioni di stress; con uno sguardo al futuro i droni possono aiutarci nel monitoraggio della diffusione dei parassiti, o a fare dei trattamenti mirati sugli alberi quando, in ambiente urbano, siano proibite le sostanze non biologiche, poiché una cosa è spruzzare da sotto un’altra è poter agire capillarmente a varie altezze delle piante. Dobbiamo aprirci alle nuove tecnologie che ci danno informazioni sul flusso linfatico, o sulle variazioni locali di temperatura della singola pianta, che chiaramente dànno strumenti mai avuti per intervenire in modo capillare e con la tempistica giusta.
TM – Ho assistito ad uno speech del suo collega, Prof. Fabio Salbitano, sul Great Green Wall of Cities (GGWC). La visione prospettata di questo continuum di foreste che assorbe Giga-tonnellate di CO2, ed i cui nodi sono le città in cui la percentuale di verde sarebbe comunque aumentata a livelli mai visti, la considera una provocazione o invece una delle plausibili strategie a cui avremmo il dovere di votarci come specie dominante in vena di autodistruzione?
FF – Io la considero assolutamente una strategia plausibile. Sono convinto che dobbiamo cominciare a guardare il mondo con quegli occhi e che quella sia la strada da percorrere. Fra l’altro il progetto lo conosco benissimo e con Salbitano collaboriamo.
TM – Siamo arrivati alla fine della nostra chiacchierata. Prima di lasciarci vorrei però chiederle di darci una sorta di input per proseguire la discussione sul tema attraverso un’associazione come la nostra che si occupa di ecolobbismo, una pratica che all’estero peraltro è ben vista e riconosciuta. A ruota, ci farebbe piacere avere un consiglio su un testo che si sentirebbe di indicare per avvicinare lettori ed attivisti ai temi di cui abbiamo discusso.
FF – La parola Lobby in Italia è associata a un gruppo di persone che fa qualcosa a danno di altri, anche se non è assolutamente così. E’ un problema di cattiva interpretazione di una parola che in inglese ha tutto un altro significato. Faccio un esempio banale (qui però non fa un esempio relativo alle lobby come parola buona…) che ho appena pubblicato sulla mia pagina Facebook di Arboricoltura Urbana (Il verde urbano ai tempi del covid-19 è ancora più importante). Recenti ricerche pubblicate su Journal con altissimo impact factor*, ci dicono che c’è un chiaro legame fra inquinamento e diffusione del coronavirus, fatto che dovrebbe farci fare qualche domanda e soprattutto darci delle risposte. Non è un caso che il virus trovi terreno più fertile per espandersi in zone inquinate; l’Italia è l’11° paese più inquinato al mondo, oltre ad essere il 1° in Europa, in particolare nell’hot-spot della pianura padana. Sicuramente non è un legame diretto, bensì indiretto: chi vive in aree fortemente inquinate ha più facilità a contrarre infezioni polmonari, questo è indubbio, poiché siamo più vulnerabili per il virus. I dati ci dicono che, dal suo inizio, l’infezione in Cina ha ucciso appena di più di quanto uccide l’inquinamento in un giorno; pare ci sia addirittura una correlazione diretta fra riduzione percentuale di inquinamento e numero delle morti da esso indotto. Quindi è fondamentale combattere in prima istanza per la riduzione delle emissioni, ma subito dopo piantiamo tanti alberi pianificando bene quanti, dove e soprattutto come, per evitare gli inconvenienti menzionati nella risposta alla prima domanda.
Tiro un po’ di acqua al mio mulino per le letture consigliate in quanto ho pubblicato un libro che fa esattamente al caso vostro ed intitolato “AMICO ALBERO: ruoli e benefici del verde nelle nostre città (e non solo)”, scritto con Alessio Fini. Ne doveva uscire un altro intitolato “La terra salvata dagli alberi”, anch’esso molto appropriato, ma con l’emergenza in corso credo rimanderemo l’uscita.
* British Medical Journal: i.f. 27
tom.massai@gmail.com
link relativi all’articolo:
Florerisk: http://www.criaciv.com/florerisk/
New York tree map: https://tree-map.nycgovparks.org/
i-Tree: https://www.itreetools.org/
Agenda 2030: https://unric.org/it/agenda-2030/
GGWC: http://www.fao.org/news/story/en/item/1234286/icode/
Amico Albero: http://www.edizioniets.com/scheda.asp?n=9788846749505#tab3