Intervista a Giovanni Graziani
di Andrea Vassalle
Milano – Continua la serie delle Interviste di Ecolobby. Questa volta dall’altra parte del telefono avrò Giovanni Graziani, ingegnere ambientale, membro di Italian Cimate Network e co-portavoce dei Verdi Firenze
Squilla il telefono
Andrea Vassalle – Ciao Giovanni
Giovanni Graziani – Ciao!
AV – Ci ritroviamo dopo un po’ di anni a fare questa bella chiacchierata. Ci eravamo lasciati ancora studenti di ingegneria, io edile, tu ambientale. Qual è stato il tuo percorso dopo la laurea e cosa ti ha portato dove sei, membro di Italian Climate Network e co-portavoce dei Verdi fiorentini?
GG – E’ davvero un piacere ritrovarsi! Tanto per cominciare come sai sono sempre stato molto curioso di capire quello che avevo intorno. Una delle mie più grandi difficoltà è stata capire non cosa scegliere, ma cosa dover abbandonare. Questa è stata la costante della mia vita: mi sono sempre interessato a saperi apparentemente lontani fra loro, e in fondo ho sempre sentito la necessità di tenerli il più possibile connessi.
Uscito da ingegneria ambientale ho fatto un master al Politecnico di Milano su energia rinnovabile e efficienza energetica; da qui hanno cominciato a svilupparsi sia la mia professione sia la voglia di continui approfondimenti su impatto ambientale e sostenibilità. Per tenere lo sguardo il più ampio possibile non mi sono limitato a quello che riguarda l’ambiente, ma ho cercato di allargare a tutto quello che si integra con aspetti economici e sociali. Ultimamente ad esempio, ho frequentato una Summer School di ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile), per avere una visione ancora più ampia e trasversale.
In tanti momenti ho pensato che forse avrei dovuto specializzarmi in qualcosa, ma alla fine ho sempre preferito mantenere una visione ampia, appunto, e questa scelta mi ha dato soddisfazione perché lo sguardo di insieme è davvero quello che ti permette di parlare di sostenibilità.
Un altro passo in questa direzione è stato diventare membro di Italian Climate Network soprattutto per la necessità, che secondo me è fondamentale, di contribuire alla buona divulgazione.
C’era però ancora qualcosa che mancava, avevo un tarlo in testa che continuava a scavare. Al primo sciopero mondiale per il clima nel marzo 2019 sono sceso in piazza con gli studenti, entusiasta come tanti nel vedere questa enorme partecipazione. A un certo punto mi sono guardato intorno e mi sono reso conto che tutti quei giovani stavano chiedendo anche a me di fare qualcosa.
Non avendo una parte politica nella quale mi rispecchiavo ho deciso di mettermi in gioco in prima persona iscrivendomi ai Verdi, collaborando durante le amministrative a Firenze e poi diventando co-portavoce comunale lo scorso settembre.
AV – Italian Climate Network è l’unica associazione italiana accreditata per le COP. Di cosa si occupa esattamente? In particolare sul vostro sito ci sono attività per le scuole e materiale di supporto ai Fridays For Future nella sezione “A Scuola di Clima”. Che importanza ha la formazione e la corretta trasmissione del sapere in questo periodo?
GG – Italian Climate Network è un’associazione che ha come obiettivo principale la divulgazione scientifica per quanto riguarda il cambiamento climatico. Lo fa in modi diversi e a livelli diversi. A livello “alto” partecipando dal 2011 alle COP (Conferenze delle Parti) dell’UNFCCC. Dal 2014 è anche riconosciuta come observer, in quanto affiliata alle associazioni “YOUNGO”, che racchiude i movimenti giovanili per il clima di tutto il mondo, e “Women and Gender”, composta da organizzazioni al lavoro per promuovere il rapporto tra cambiamento climatico, diritti delle donne e parità di genere. I delegati fanno diverse attività partecipando alle sessioni, redigendo report tecnici e articoli, con interventi, stesure di policy e organizzando eventi paralleli. Questo è uno dei modi per divulgare e fare pressione a livello alto.
Ci sono poi attività di divulgazione a livello politico più locale, attraverso varie campagne e interlocuzioni, come l’evento “Storie di un clima che cambia” a Firenze, che unisce divulgazione scientifica e mondo dello spettacolo, arrivato alla seconda edizione nel 2019.
Infine il progetto scuola, attivo da alcuni anni e cresciuto molto, in cui si fanno lezioni vere e proprie sul cambiamento climatico, trattando vari focus: clima e energia, rifiuti, diritti umani, salute. Questo ci sta dando grande soddisfazione perché notiamo un sempre crescente interesse. Questo impegno nelle scuole è fondamentale perché produce un vero cambiamento culturale, che però ha bisogno di tempo e purtroppo in questo momento storico c’è una vera emergenza planetaria, dunque è altrettanto importante agire ai massimi livelli, il tempo stringe!
AV – Leggendo L’Economia della Ciambella di Kate Raworth uno degli aspetti che più mi ha fatto riflettere è la volontà di ribaltare i punti di vista, in particolare mi sembra centrale il concetto di resilienza come caratteristica fondamentale di ogni sistema, contrapposto, almeno in parte, a quello di efficienza di stampo capitalista. Hai rilevato questa dicotomia nel tuo lavoro e nel tuo studio? In che rapporto stanno efficienza e resilienza all’interno del concetto di Transizione Ecologica?
GG – É un discorso molto ampio, vediamo di riassumerlo senza semplificare troppo. Fermo restando che l’efficienza è fondamentale per quanto riguarda ridurre gli sprechi, riuscire a lavorare meglio, fare stesse produzioni e stessi servizi con un minor impiego di risorse e di energia, questo non basta! Nell’era industriale fino ai giorni nostri non è stato fatto abbastanza perché fondamentalmente non si è dato all’energia il valore che gli si dà oggi: all’inizio della nostra industrializzazione l’energia era quasi gratis. Le risorse apparivano, o erano percepite come infinite.
Al momento attuale c’è bisogno di un cambio di visione: l’efficienza aiuta a ridurre lo spreco ma non può essere la giustificazione per continuare a fare come si è sempre fatto riducendo un po’ i consumi. Fondamentale è il cambio del punto di vista, mettendo in discussione il modello attuale, introducendo anche il concetto di resilienza, ovvero la capacità che ogni sistema ha di adattarsi ai cambiamenti.
Transizione Ecologica è anche questo, introducendo politiche di adattamento a delle alterazioni alle quali ormai siamo sicuri che andremo incontro. Queste politiche di adattamento sono anche gli interventi che più concretamente avvicinano l’azione politica al territorio e alle persone: realizzare un argine ben fatto o prevedere degli innalzamenti per fronteggiare un’alluvione e i suoi effetti, sono azioni di cui si percepisce subito l’utilità.
Chiedere invece alle persone di consumare meno combustibili o risorse, in un’ottica di mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici, è una cosa importante, fondamentale, ma che non ha nella percezione del singolo un ritorno immediato, anche perché si tratta di qualcosa legato al globale e spostato avanti nel tempo, che si scontra con la percezione sempre più “istantanea” del mondo contemporaneo.
AV – Quali sono allora le questioni centrali quando si parla di Transizione Ecologica?
GG – Secondo me fare transizione significa prima di tutto comprendere bene gli scenari climatici e i trend a cui stiamo andando incontro, sia ambientali, sia sociali, sia economici; ci sono ormai tantissimi studi da cui poter partire per avere un quadro di riferimento davvero vasto e esaustivo. Una volta fatto questo, chi deve fare strategia politica deve aver chiaro l’obiettivo a medio-lungo termine, come purtroppo in questo preciso momento, non sta succedendo. Se sappiamo che tra 10 anni lo scenario cambierà in un certo modo, come lo vogliamo affrontare? Che obiettivo vogliamo darci? Dove vogliamo arrivare? Questo permette di fare quelle strategie e quelle pianificazioni che non vengono mai fatte ma che permettono di fare transizione davvero. Posso permettermi di spostare investimenti, lavoratori, mercati senza subire una certa situazione ma cercando di governarla e di anticiparla. A tutto ciò si ricollega l’importanza di adattarsi come sistema, e quindi la necessità di riprogettare il sistema stesso come adattivo.
AV – La multdisciplinarità mi pare sia il succo del tuo pensiero e del tuo agire. Un esempio concreto del quale ti sei occupato di recente è il riciclo dei tessuti a Prato. Qual è lo stato dell’arte attuale, sia per quanto riguarda l’impresa sia per quanto riguarda la legislazione?
GG – Nel mio lavoro mi occupo di sostenibilità nelle aziende e ho spesso a che fare col distretto tessile pratese. In questo tipo di lavoro è assolutamente necessario un approccio multidisciplinare, concetto strettamente connesso a quello di complessità. In una situazione complessa bisogna sempre contestualizzare bene. La moda è un esempio classico, si spazia dall’ambito internazionale alle piccole manifatture locali, quindi è fondamentale “definire il confine”. Questo per dire che a livello globale il settore moda è assolutamente insostenibile: il fast fashion ha amplificato la crescita della produzione dell’abbigliamento e nello stesso tempo ha dimezzato il tempo medio di utilizzo di ogni singolo capo. C’è quindi, oltre all’impatto ambientale di questa produzione, secondo solo all’impatto del settore dei combustibili fossili, tutta una serie di problemi legati all’invenduto: magazzini con tonnellate e tonnellate di vestiti in attesa di essere smaltiti, di cui solo il 10% viene recuperato o riciclato.
A livello locale il contesto cambia, Prato è da sempre legata al riciclo e al recupero delle fibre. La lana rigenerata fa parte della tradizione industriale di questo distretto e ne costituisce un aspetto fondamentale, oltre che sostenere varie piccole industrie che se ne occupano.
Ci sono sicuramente problemi di normativa, che ultimamente per fortuna stanno evolvendo. Fino a poco fa recuperare e riutilizzare quello che è definito “rifiuto” era un problema, questa cosa è stata riformata alla fine del 2019 con un provvedimento chiamato “end of waste”, che regola le modalità con cui questi scarti non sono avviati allo smaltimento come rifiuti, ma possono essere utilizzati nuovamente come materia prima seconda; in questo tipo di attività rientra anche la rigenerazione dei tessuti di Prato.
Questo si scontra però, come dicevamo, col contesto globale: Prato è senz’altro un esempio virtuoso, ma la mole di rifiuti tessili che vengono qui recuperati per la maggior parte fa comunque il giro del mondo prima di arrivarci.
In definitiva la soluzione di questo comparto non può essere sostituire le materie prime con fibre riciclate, o con fibre biologiche più sostenibili, perché comunque c’è solo una sostituzione di materia e non un cambio di sistema.
Ci sono comunque esempi virtuosi, come l’azienda RIFO’ che cerca di raccogliere in loco tessuti, tramite punti di raccolta o l’invio di capi da singole persone, per ridargli vita a km0. Questo come altri sono davvero quello da cui bisognerebbe partire per cambiare davvero, è una goccia ma è la direzione giusta.
AV – L’associazione EcoLobby si è data come obiettivo di facilitare la Transizione Ecologica. Recentemente stiamo lavorando a delle linee guida per i Comuni che vogliano incentivare e favorire le attività commerciali che adottano buone pratiche, come i negozi dello sfuso, per dirne una. Cosa vorresti che EcoLobby facesse, dal tuo punto di vista sia di tecnico che di politico?
GG – Apprezzo davvero molto il lavoro di EcoLobby, la seguo fin dai primi passi. Penso che il suo obiettivo sia molto giusto: accorciare la distanza tra l’evidenza e le opportunità tecnico scientifiche da una parte, e le decisioni politiche dall’altra. Sviluppare prima educazione e conoscenza e poi fare massa critica per fare lobby e pressione verso la politica.
So che è molto attiva in tanti settori che già seguo e in particolare nell’energia. Facilitare il consumo di energia prodotta da fonti rinnovabili è una mia battaglia da sempre e vedo due aspetti su cui EcoLobby potrebbe concentrarsi:
1 – Dare consigli e spunti non solo su cosa fare ma anche su chi lo può fare. EcoLobby potrebbe raccogliere dati e magari elaborare una sorta di database di istallatori affidabili di impianti fotovoltaici e/o di pompe di calore?
2 – Fare da aggregatore, come sta già facendo, per unire operatori di mercato, politica, associazioni, in percorsi che possano portare, facendo rete, alla rimozione di alcuni ostacoli, come cambiare alcuni regolamenti comunali (tra cui quello di Firenze) che impediscono di installare fotovoltaico sui tetti.
AV – Mi piacerebbe finire con dei consigli di letture, qualcosa che ti ha ispirato, qualcosa per approfondire, qualcosa di ricreativo.
GG – Sono contento di questa domanda. Come prima cosa durante il mio master a Milano sono entrato in contatto con Edizioni Ambiente, consiglio il loro sito che è veramente pieno di titoli interessanti. Uno dei primi che mi ha aperto la mente è Piano B 4.0 mobilitarsi per salvare la civiltà di Lester Brown.
Di recente ho fatto un corso di approfondimento alla Scuola di Chimica dell’Università di Siena sui cambiamenti climatici, lì si respirava ovunque la presenza di Enzo Tiezzi, chimico ecologista, pioniere di quello che noi studiamo adesso e che lui studiava, insegnava e raccontava nei suoi libri già negli anni ottanta. Mi hanno regalato un suo libro molto famoso che è Tempi Storici Tempi Biologici, non vedo l’ora di leggerlo e consiglio a mia volta di farlo.
Terzo consiglio: prendersi il tempo di leggere, trovare il tempo e il coraggio di separarsi dal digitale e leggere!
vassalle.andrea@gmail.com
link relativi all’articolo:
ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile): https://asvis.it
UNCFFF: https://unfccc.int
Rifò: https://www.rifo-lab.com
Edizioni Ambiente: http://www.edizioniambiente.it
Enzo Tiezzi su wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Enzo_Tiezzi